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Quando le parole non bastano

Il linguaggio che nasce dal silenzio

Ci sono momenti in cui le parole non bastano.

Si spezzano, si nascondono, o arrivano troppo tardi. E allora è il corpo a parlare: con un nodo in gola, un respiro trattenuto, un gesto minimo che racconta più di una frase intera.


In terapia, questi silenzi non sono vuoti da riempire: sono luoghi da abitare.

Spazi in cui qualcosa sta cercando di farsi parola, ma non ha ancora trovato la voce per farlo.


Ciò che non si può dire, si mostra

Ogni storia personale è fatta di parole, ma anche di omissioni.

Ciò che non è stato detto resta nel corpo e nei modi di stare con l’altro: nella distanza, nella fretta, nell’imbarazzo, nel bisogno di controllare o di sparire.


Il silenzio non è assenza di comunicazione, ma un linguaggio primitivo: parla di noi prima ancora che ce ne accorgiamo.

Nel lavoro terapeutico, il compito non è interpretare subito, ma lasciare emergere: dare tempo, dare forma, dare senso.


Tra il sentire e il dire

A volte il silenzio protegge.

Serve a contenere un’emozione troppo intensa, una paura che non ha nome.

Per questo il terapeuta non forza le parole: resta accanto. Regge la pausa, accoglie la confusione, lascia che l’esperienza trovi un suo ritmo.


È in questo spazio condiviso che le emozioni diventano pensabili.

Ciò che prima veniva agito — nel corpo, nei sintomi, nei comportamenti — può finalmente trasformarsi in pensiero, in racconto, in memoria.


Il corpo conserva ciò che la mente tenta di dimenticare.

Porta le tracce dei legami, delle ferite, delle emozioni sospese.

Nel setting, il corpo “dice” molto: come il paziente si siede, respira, guarda o evita lo sguardo racconta la qualità della relazione e del suo mondo interno.


Attraverso la presenza del terapeuta, il corpo può tornare a essere testimone invece che prigione.

Il sintomo si trasforma in segnale, il segnale in significato.

E ciò che prima pesava soltanto diventa qualcosa che può essere condiviso.


Il silenzio che cura

Non tutti i silenzi sono uguali.

C’è un silenzio che isola e uno che accoglie.

C’è un silenzio che chiude e uno che apre.


Quando la relazione diventa un luogo sicuro, anche il silenzio smette di far paura.

È lì che può nascere la parola nuova — non quella perfetta, ma quella vera — che contiene finalmente qualcosa di sé.


Quando le parole non bastano, il silenzio insegna ad ascoltare.

E da quell’ascolto può nascere, piano, una voce più libera.



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