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Dal caos al pensiero: accompagnare bambini e ragazzi nella regolazione emotiva

La regolazione emotiva non è un talento innato, ma una conquista che nasce dalla relazione. Ogni volta che un adulto accoglie un pianto, una rabbia o una paura senza spaventarsi, sta insegnando al bambino che i sentimenti possono essere abitati e pensati.

Come diceva Bion, “l’emozione, se contenuta, si trasforma in pensiero”.

Come afferma Lancini, “il compito dell’adulto non è togliere il dolore, ma trasformarlo in esperienza di crescita”.


Famiglia e scuola: due contesti, una stessa mappa emotiva

Il bambino non regola le emozioni “da solo”: lo fa attraverso le relazioni.

Per questo è importante che i due ambienti principali — casa e scuola — comunichino tra loro e condividano uno sguardo comune. Quando il messaggio è coerente, il bambino sente che gli adulti “parlano la stessa lingua”, e questo abbassa notevolmente la sua ansia di controllo.

A casa, la prevedibilità quotidiana (sveglia, pasti, compiti, gioco, sonno) crea un ritmo interno che rassicura. A scuola, routine, regole chiare e feedback coerenti fanno da cornice di sicurezza.

La prevedibilità è una forma di cura: sapere “cosa accadrà dopo” riduce il caos interno e aiuta il bambino a mantenersi nella propria finestra di tolleranza.

Un piccolo strumento utile è la mappa degli scatenanti (trigger map). Può essere una tabella condivisa tra genitori e insegnanti che riporta:

-le situazioni più difficili (es. passaggi improvvisi, compiti lunghi, errori davanti agli altri);

-i segnali precoci di escalation (tono di voce, battito accelerato, tensione nel corpo);

-le strategie che aiutano (pausa breve, respiro, spostarsi, oggetto calmante).


Questo permette di intervenire prima che la crisi esploda, evitando di dover gestire l’uragano a posteriori.


Il lavoro psicoterapeutico: dare un senso al sintomo

Quando un bambino o un ragazzo arriva in terapia per difficoltà di regolazione emotiva, il punto di partenza non è “come farlo smettere di arrabbiarsi”, ma che cosa esprime quella rabbia.

In una prospettiva psicoanalitica ed evolutiva, il comportamento non è mai solo “un problema da correggere”, ma una comunicazione: spesso, la rabbia, l’opposizione o l’iperattività servono a proteggersi da vissuti di fragilità o vergogna.

Il terapeuta, come un “traduttore di emozioni”, aiuta il bambino a riconoscere cosa si muove dentro e a restituire parole dove prima c’era solo azione.


Consultazione partecipata

La consultazione coinvolge sin da subito anche i genitori. Bambino e adulti vengono accolti insieme, per costruire una storia condivisa del problema. Questo permette di evitare la colpevolizzazione (“è colpa dei genitori”) e di lavorare invece su come tutti possono sostenere il processo di crescita.


Funzione riflessiva e contenimento

Nel percorso, genitori e terapeuta lavorano insieme sulla funzione riflessiva: la capacità di pensare i comportamenti in termini di stati mentali (“forse ha reagito così perché si è sentito escluso”).

Ogni volta che un adulto riesce a fare questo passaggio, il bambino sente che la sua emozione ha senso, e smette di agire per essere visto.

Il terapeuta svolge anche una funzione di contenimento in senso bioniano: accoglie i frammenti emotivi grezzi, li elabora e li restituisce in una forma più integrata. Così il bambino impara che si può pensare anche ciò che fa paura.


Strumenti pratici per casa e scuola

Linguaggio “doppio”

Parla in modo concreto e affettivo insieme.

Esempio: “Tra cinque minuti spegniamo la TV” (concreto) + “so che stai guardando la parte più bella, non è facile interrompere” (emotivo).

Questo tipo di linguaggio nutre il cervello razionale e quello emotivo: aiuta a tollerare la frustrazione perché si sente compresi.

Routine visive e anticipo

Le routine visive (pannelli con immagini o parole) sono molto utili: permettono al bambino di “vedere” la giornata e riducono la fatica cognitiva. L’anticipo delle transizioni (“dopo il gioco ci laviamo i denti”) aiuta il cervello ad adattarsi e previene reazioni impulsive.

Tecniche di de-attivazione

  • Respiro quadrato (4-4-4-4): inspira 4, trattieni 4, espira 4, trattieni 4.

  • “Mani fredde-viso fresco”: lavarsi mani e viso con acqua fredda abbassa il livello di attivazione fisiologica.

  • Oggetti calmanti neutri (pietra liscia, elastico, peluche): servono da ancoraggio sensoriale.

Queste strategie non sostituiscono la relazione, ma aiutano il bambino a riagganciare la mente al corpo nei momenti di stress.

Dopo la crisi: la ricapitolazione

Quando l’emozione è passata, non serve una lunga lezione, ma una breve mappa di senso:

“Cosa è successo? Cosa ti ha fatto arrabbiare? Cosa possiamo provare la prossima volta?”.

Questo momento trasforma l’errore in apprendimento. È qui che nasce la mentalizzazione: quando il bambino comincia a collegare emozioni, pensieri e azioni.

Regole “3C”

Le regole devono essere Chiare, Condivise, Coerenti.

Poche (massimo 4 o 5), uguali tra casa e scuola, formulate in positivo (“Camminiamo in classe” invece di “Non correre!”).

Le regole diventano così una cornice sicura, non una minaccia.

Rinforzo dei micro-progressi

Il cervello emotivo apprende per rinforzo. Riconoscere anche un piccolo passo (“Ti sei fermato prima di spingere”) è molto più efficace di mille rimproveri. Ogni volta che notiamo un miglioramento, lo ancoriamo con parole di riconoscimento e affetto.


Quando serve una valutazione specialistica

Se, nonostante queste strategie, le difficoltà rimangono intense e pervasive, è opportuno un approfondimento.

In particolare se:

le crisi sono quotidiane e molto forti;

si osservano comportamenti auto- o etero-aggressivi;

il bambino si chiude, si isola o regredisce;

la scuola segnala compromissione di apprendimento o relazione.

Una valutazione multidisciplinare (psicoterapeuta, neuropsichiatra, logopedista, terapista occupazionale) permette di comprendere i diversi livelli coinvolti: emotivo, sensoriale, relazionale e cognitivo.

Nell’ approccio evolutivo, si lavora sempre in rete: il bambino viene visto nella sua globalità, non come “un problema da risolvere”.


L’obiettivo realistico

Non si tratta di eliminare le emozioni negative, ma di insegnare a viverle senza esserne travolti.

Come scrive Eugenia Pelanda, “educare alla regolazione non significa frenare, ma trasformare l’energia emotiva in pensiero e azione costruttiva”.

La regolazione emotiva cresce per stratificazione:

Co-regolazione (l’adulto calma il bambino);

Auto-osservazione (il bambino comincia a notare ciò che prova);

Strategie autonome (sceglie come gestirsi).

Ogni livello si costruisce sul precedente, come un muscolo che si allena nel tempo. Il compito dell’adulto è fornire sicurezza, linguaggio e pazienza.


Piccolo vademecum da frigorifero


Prima la sicurezza, poi le parole.

Poche regole, sempre uguali.

Anticipa le transizioni.

Nomina l’emozione, non giudicare il bambino.

Dopo la tempesta, una breve mappa per la prossima volta.

Rinforza i micro-passi: la competenza cresce se la vediamo.

Ricorda: la calma dell’adulto è la cura più potente.


Le difficoltà di regolazione emotiva non sono un segnale di fallimento, ma un’occasione di crescita condivisa.

Ogni crisi è una possibilità di imparare qualcosa di sé e dell’altro.

Come direbbe Bion, “nessun pensiero nasce senza un’emozione che lo preceda”: aiutare un bambino a regolare significa aiutarlo a pensare.

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