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Identità in costruzione: attraversare le domande su chi sono e cosa diventerò


Nell’adolescenza — e in ogni transizione della vita — emergono domande che non si risolvono con una risposta definitiva: chi sono?, che posto ho nel mondo?, cosa voglio diventare?.

Non sono segnali di crisi patologica, ma processi evolutivi: movimenti interni che spingono la persona a ridefinire la propria forma, a mettere ordine tra continuità e cambiamento. È in questi passaggi che si costruisce l’identità, intesa non come un punto d’arrivo, ma come una trama che si rielabora nel tempo.



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1. L’identità come processo in movimento


Durante l’adolescenza l’individuo si trova a dover integrare dimensioni diverse di sé: il corpo che cambia, il pensiero che diventa più complesso, le relazioni che si moltiplicano, il desiderio di autonomia e l’esigenza di appartenenza.

L’identità evolve quando si riesce a mantenere un legame tra ciò che si era e ciò che si sta diventando. Quando questo legame si allenta, possono emergere momenti di smarrimento o confusione, ma è proprio in questi spazi di incertezza che la crescita trova terreno.


Le oscillazioni — tra chiusura e apertura, sicurezza e dubbio — non sono segni di instabilità, bensì passaggi di riorganizzazione del sé.

Ogni crisi, se sostenuta da relazioni sufficientemente stabili, diventa occasione di ri-significazione: una transizione verso una forma di sé più ampia e complessa.



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2. Le domande su “cosa fare” e “chi essere”


La domanda “cosa farò nella vita” spesso si intreccia con “chi sarò facendo quella cosa”. Le scelte scolastiche, affettive o professionali sono sempre anche scelte identitarie, in cui l’adolescente mette alla prova le proprie ipotesi su di sé.

L’orientamento, in questa prospettiva, non serve a predire il futuro, ma a sperimentare possibilità, a riconoscere ciò che risuona e ciò che non appartiene.


Il compito evolutivo è imparare a sostare nella domanda senza forzare risposte premature, sviluppando tolleranza alla transitorietà e capacità riflessiva. L’identità si definisce per gradi, attraverso tentativi e ritorni, dentro un dialogo costante con l’ambiente.



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3. Il ruolo degli adulti: contenere, non dirigere


Nel percorso evolutivo, la funzione adulta non è dare la direzione, ma offrire uno spazio di tenuta in cui il giovane possa interrogarsi senza sentirsi giudicato o spinto.

Genitori, insegnanti e figure di riferimento possono sostenere la crescita:


nominando la complessità (“capisco che non è semplice capire cosa vuoi ora”);


legittimando la sperimentazione (“puoi provare e poi cambiare idea”);


mantenendo un dialogo costante, anche quando il ragazzo si ritrae.



La stabilità dell’adulto non serve a bloccare, ma a dare continuità alla possibilità di trasformarsi.



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4. Il corpo come primo luogo d’identità


In adolescenza il corpo diventa un campo di esperienze intense: cambia forma, ritmo, percezione. È un linguaggio che precede le parole e condiziona il modo in cui ci si percepisce e ci si mostra.

Il lavoro evolutivo passa anche da qui: imparare ad ascoltare e interpretare i segnali del corpo, accettando che la conoscenza di sé non sia solo mentale ma anche sensoriale, emotiva, relazionale.


L’identità corporea è la base su cui poggia la narrazione di sé: un terreno da abitare, non da correggere.



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5. Il pensare come spazio di regolazione


La crescita psicologica implica la capacità di trasformare il vissuto in pensiero. Quando le emozioni sono troppo intense o confuse, serve qualcuno che aiuti a tradurle, a dar loro una forma narrabile.

In questa traduzione si sviluppa la funzione riflessiva, quella che permette di riconoscere i propri stati interni e attribuire loro senso.


Il compito evolutivo non è controllare l’emozione, ma abitarla senza esserne travolti, lasciandola entrare nel circuito della parola, del simbolo e della relazione.



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6. L’incontro con l’altro come specchio e differenza


La relazione con i pari e con il gruppo è una palestra di identità. È nello sguardo dell’altro che il soggetto si sperimenta e si definisce.

Tuttavia, il confronto può diventare fonte di tensione quando la differenza viene percepita come minaccia. Imparare a restare in relazione senza perdersi è uno dei passaggi centrali della crescita.


Nel contesto digitale, questa dinamica si amplifica: l’immagine di sé circola, viene commentata, rispecchiata o rifiutata. L’uso consapevole dei social non richiede solo regole di tempo, ma anche un’educazione emotiva allo sguardo: saper distinguere tra ciò che mostra e ciò che costruisce valore per sé.



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7. Quando il processo si blocca


Il lavoro evolutivo può rallentare o bloccarsi quando la persona perde fiducia nella propria possibilità di trasformarsi: si ritira, si anestetizza o si rifugia in modelli rigidi.

In questi casi lo spazio psicologico serve non per “trovare risposte”, ma per riattivare la capacità di domandarsi, restituendo senso e continuità all’esperienza interna.


Un percorso psicologico o psicoterapeutico offre un luogo di pensiero condiviso, in cui l’adolescente (o l’adulto in transizione) possa rielaborare le proprie rappresentazioni di sé e del futuro, recuperando il movimento vitale della mente.



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8. Identità come racconto in divenire


Ogni fase della vita richiede di riscrivere la propria storia, integrando le esperienze precedenti con quelle nuove. La maturità non coincide con la stabilità, ma con la capacità di negoziare i cambiamenti senza perdere continuità.

Diventare adulti non significa smettere di cercare, ma imparare a cercare senza sentirsi persi.



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