Quando l’adolescenza sembra fermarsi: ansia, inadeguatezza e ricerca di sé
- studioliberamente
- 11 set
- Tempo di lettura: 3 min

L’adolescenza è un tempo di trasformazione. Il corpo cambia, le emozioni diventano più complesse, il pensiero si apre a domande nuove e il futuro comincia a farsi strada nell’immaginazione. È una fase che porta con sé vitalità, ma anche incertezze e fragilità.
Sempre più spesso, accanto all’entusiasmo per le prime conquiste, emergono vissuti di ansia e inadeguatezza: il timore di non riuscire, la sensazione di essere “indietro” rispetto ai coetanei, la convinzione di non essere abbastanza. È un’esperienza che non riguarda solo la scuola o i risultati sportivi, ma l’identità stessa del ragazzo o della ragazza.
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Il peso del confronto e dell’ideale
Nell’età della crescita, il confronto con gli altri diventa inevitabile: amici, compagni di classe, immagini che circolano online. L’impressione è che “gli altri siano sempre avanti”: più sicuri, più attraenti, più capaci. In questo scenario, l’adolescente rischia di vivere un divario costante tra ciò che è e ciò che crede di dover essere.
L’ansia non si limita allora a un esame o a un’interrogazione, ma si trasforma in un sottofondo continuo: una tensione che accompagna ogni scelta, ogni relazione, ogni sguardo rivolto al futuro.
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Quando l’ansia blocca la crescita
In alcuni casi, questo vissuto diventa un vero e proprio blocco evolutivo. Le azioni più semplici — andare a scuola, incontrare i pari, coltivare interessi — perdono slancio. È come se il tempo interiore si fosse fermato: il presente pesa, il futuro spaventa, il passato sembra un rifugio lontano.
Il ragazzo può apparire chiuso, demotivato, senza energie, oppure reagire con scoppi di rabbia e conflitti improvvisi. Non è capriccio né svogliatezza: è il linguaggio di una sofferenza che non trova parole, ma che cerca comunque un modo di farsi vedere.
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Il compito degli adulti
Per i genitori non è facile. Ci si trova davanti a figli che sembrano non impegnarsi o che rifiutano il confronto, mentre dentro si intuisce un dolore profondo. La reazione può oscillare tra il rimprovero e la preoccupazione ansiosa, entrambe comprensibili ma spesso inefficaci.
Ciò che fa la differenza è la presenza di un adulto capace di ascoltare e riconoscere, che sappia trasmettere: “ti vedo, ti accolgo, non sei solo”. È importante non ridurre il disagio a mancanza di volontà e non trasformarlo in colpa. Al contrario, è necessario legittimare le emozioni difficili, riconoscere che fanno parte della crescita e non sono la prova di un fallimento.
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Rimettere in moto il tempo dell’adolescenza
Uscire da un blocco non significa cancellare l’ansia, ma imparare a darle un senso. Piccoli passi quotidiani — riprendere una routine, tornare gradualmente a scuola, riallacciare legami — possono diventare segnali che la vita può riprendere a scorrere.
In alcuni casi è utile che la famiglia si affidi a un percorso psicologico. Lo spazio di parola con uno specialista non toglie responsabilità ai genitori, ma diventa un luogo sicuro in cui l’adolescente può raccontarsi senza timore di giudizio, dare nome alle proprie paure e trasformarle in pensieri condivisi.
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Conclusione
Il blocco adolescenziale non è una “malattia” né una condanna: è l’espressione di una fase che si è inceppata e che ha bisogno di essere riconosciuta. Per un genitore, la sfida non è risolvere tutto, ma restare presenti e autentici, mostrando che si può crescere anche attraverso gli inciampi, le soste e le fragilità.
Ogni pausa, se accolta, può diventare l’occasione per ripartire con nuove risorse.



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