Adolescenti e digitale: domande che aprono scenari
- studioliberamente
- 25 ago
- Tempo di lettura: 3 min

1) Il digitale ha cambiato l’adolescenza? Forse no, almeno non nei suoi compiti profondi: cercare autonomia, provare appartenenze, costruire un senso di sé. Quello che cambia è la scena: se un tempo era la piazza o il cortile, oggi sono le chat, i social, le partite online. Ma in fondo: è diverso raccontarsi al gruppo in classe o postare una storia su Instagram?
2) Che cosa rappresentano i social per un adolescente? Un modo per “farsi vedere” e misurarsi con l’immagine di sé che si immagina negli occhi degli altri. Dal punto di vista costruttivista, ogni ragazzo riorganizza il proprio significato personale attraverso questi sguardi: a volte li usa per conoscersi meglio, a volte per anestetizzare paure. Non è il mezzo in sé, ma che funzione svolge nel suo percorso.
3) E i videogiochi? Una perdita di tempo o un’esperienza di crescita? Possono essere entrambi. Il videogioco è spesso un laboratorio per allenarsi a ruoli, competenze, relazioni. Ma può diventare anche un rifugio obbligato, quando altri contesti non offrono spazio. Allora la domanda diventa: che cosa significa per quel ragazzo vincere, collaborare, passare ore lì dentro? Che parte di sé sta provando a sostenere?
4) Lo sguardo dei pari online è più potente di prima? Probabilmente sì, perché non ha pause: segue anche fuori da scuola, accompagna giorno e notte. Da prospettiva Area G, questo sguardo non è un problema in sé: è il motore della costruzione identitaria. La questione è se diventa l’unico metro di valore, senza altri riferimenti adulti credibili.
5) Che ruolo ha il corpo, se sembra sparire dietro gli schermi? Il corpo resta centrale: nell’immagine estetica da esporre, nei confronti con l’ideale, nei sintomi psicosomatici che spesso raccontano l’eccesso di stimoli. Il digitale non cancella il corpo, lo obbliga a esprimersi in forme nuove. Come accompagnare i ragazzi a riconoscere questo linguaggio senza ridurlo a “effetti collaterali”?
6) Quando il digitale diventa “troppo”? Dal punto di vista costruttivista, l’eccesso non è mai solo quantità: segnala una funzione che il ragazzo assegna a quell’esperienza. Prima di pensare a “togliere lo schermo”, conviene chiedersi: quale bisogno regola, quale paura protegge, quale appartenenza garantisce? 7) E gli adulti? Devono controllare o lasciare fare?
Forse nessuno dei due. L’adolescente oggi non cerca più un’autorità che imponga, ma adulti autorevoli capaci di esserci come interlocutori credibili. Non tanto per dire “fai così”, ma per restare presenti quando il ragazzo prova a narrare chi è, anche attraverso un feed o una chat. Siamo disponibili a stare in ascolto senza sapere già la risposta?
8) In terapia: ha senso occuparsi di digitale? Sì, se lo vediamo non come un nemico, ma come materiale vivo. Un like, un video, una chat non sono dettagli tecnici: sono scene emotive, nodi identitari, rappresentazioni di sé. Entrarci significa rispettare il contesto in cui l’adolescente oggi porta avanti la sua crescita.
In sintesi
Il contesto si digitalizza, ma le fasi di vita restano le stesse. Gli adolescenti continuano a cercare di separarsi, appartenere a gruppi, darsi forma: oggi lo fanno anche su piattaforme e giochi, usando nuovi linguaggi per esprimere antiche domande:
Chi sono e chi diventerò?
A chi appartengo e da chi mi differenzio?
Quanto valgo oltre scuola, corpo e prestazioni?
Come reggo vergogna, rabbia, vuoto?
Quale immagine di me mostro e a chi? Il compito degli adulti non è “tradurre” al posto loro, ma restare disponibili a pensare insieme ciò che quelle scene significano.



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